Protesta dei trattori: ecco perché è stata utile

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    Dobbiamo essere grati agli agricoltori in rivolta. Nonostante i blocchi stradali, il linguaggio reazionario, le parole fuori fuoco sull'ecologia, la protesta dei trattori ci ha costretto ad avere una conversazione che stavamo evitando: quella sui nostri sistemi alimentari. Gli obiettivi della protesta sono sbagliati - la transizione ecologica è la soluzione, non la condanna dell'agricoltura - ma il grido di dolore e frustrazione è reale e ci dobbiamo fare i conti.

    Quando prenderemo un frutto in mano, ricordiamo che noi e il contadino che l'ha coltivato abbiamo un problema in comune: quel frutto è insostenibile per entrambi, lui lo ha venduto sottocosto, noi l'abbiamo pagato troppo. Un modello agricolo vecchio di un secolo è arrivato al capolinea e non possono essere gli agricoltori a risolverlo. È sbagliato parlarne come blocco unico, mettendo nello stesso discorso gli allevamenti intensivi della Pianura padana e i piccoli produttori biologici; in queste settimane siamo costretti a farlo perché i più reazionari hanno preso la parola ma anche per la nostra cecità selettiva: la verità è che sappiamo troppo poco di quel mondo e dei suoi problemi.
    Secondo il censimento Istat sul settore, in 10 anni sono scomparse 500 mila aziende agricole in Italia e 5,3 milioni nell'Unione europea, che spende un quarto del bilancio per tenerle in vita. È un modello in cui si produce e si spreca troppo e non si innova abbastanza. Ed è per questo che dobbiamo essere grati: ci hanno costretto a vederli, a parlarne. Siamo un Paese ossessionato dal cibo, dalla ristorazione, dalle tradizioni locali, ma da quanti anni non c'era un dibattito nazionale sul cibo dalla prospettiva di chi lo produce? In modo disorganizzato e istintivo, hanno scelto una lettura contro il Green Deal e le sue misure per la transizione agricola: le regole sulla biodiversità, il sistema Farm to Fork.

    Oggi hanno scelto il populismo perché nessuno aveva costruito ieri una narrazione alternativa, anche i movimenti ecologisti li hanno trattati come alieni dai bisogni incomprensibili.
    Non esistono agricoltori negazionisti del clima, perché lavorano con la materia stessa di cui è fatto il mondo, il suolo e l'acqua: li vedono gli eventi estremi, le siccità, i crolli delle rese, le ondate di calore che in sempre più angoli del mondo costringono a lavorare i campi di notte, perché di giorno è diventato impossibile farlo per le temperature troppo alte. I sistemi alimentari sono vittime e carnefici della crisi climatica, producono un quarto delle emissioni di gas serra, ma sono anche i settori colpiti in modo più diretto: la siccità del 2022 fece crollare la produzione del dieci per cento, fu una catastrofe economica e sociale.

    Abbiamo bisogno che gli agricoltori facciano la loro parte nella transizione, ma non la potranno mai fare se saranno terrorizzati per il loro reddito e se non saranno certi di arrivare alla prossima stagione o alla fine del decennio. Il reddito è il primo problema climatico dell'agricoltura: senza un sistema più equo, a partire da una riforma della Politica agricola comune che favorisce solo i colossi, non si potrà fare nessuna transizione ecologica.

    Fonte: Vanity Fair

    Edited by Dingo Tiny - 18/2/2024, 14:53
     
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